Ordinanza n. 38 del 2006

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ORDINANZA N. 38

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Annibale                                        MARINI                                  Presidente

- Giovanni Maria                              FLICK                                        Giudice

- Ugo                                                DE SIERVO                                     "

- Romano                                         VACCARELLA                               "

- Paolo                                              MADDALENA                                "

- Alfio                                              FINOCCHIARO                              "

- Alfonso                                          QUARANTA                                   "

- Franco                                            GALLO                                            "

- Luigi                                              MAZZELLA                                    "

- Gaetano                                         SILVESTRI                                      "

- Sabino                                            CASSESE                                          "

- Maria Rita                                      SAULLE                                           "

- Giuseppe                                        TESAURO                                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991, n. 274 (Acceleramento delle procedure di liquidazione delle pensioni e delle ricongiunzioni, modifiche ed integrazioni degli ordinamenti delle Casse pensioni degli istituti di previdenza, riordinamento strutturale e funzionale della Direzione generale degli istituti stessi) e 7, primo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), promosso con ordinanza del 12 novembre 2004 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sul ricorso proposto da Barba Maria Concetta contro l’INPDAP ed altra, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto che, con ordinanza del 12 novembre 2004, la Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione Puglia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991, n. 274 (Acceleramento delle procedure di liquidazione delle pensioni e delle ricongiunzioni, modifiche ed integrazioni degli ordinamenti delle Casse pensioni degli istituti di previdenza, riordinamento strutturale e funzionale della Direzione generale degli istituti stessi) e 7, primo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), sia «nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilità della pensione, i figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa»; sia «nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilità della pensione, i nipoti ex fratre del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa»;

che il giudice a quo è chiamato a decidere sul ricorso proposto da Barba Maria Concetta avverso il diniego oppostole dall’INPDAP sull’istanza per il riconoscimento della «riversibilità della pensione degli enti locali di cui era stato titolare il sig. Antonio Barba e quindi la madre»;

che, nel descrivere la vicenda che ha dato origine al giudizio principale, il rimettente precisa che Barba Maria Concetta, nata il 1° dicembre 1937, era figlia di Barba Francesco e Lorenzo Addolorata e che, a seguito del decesso del padre, in data 13 ottobre 1946, il fratello di quest’ultimo, Barba Antonio, si assumeva l’onere del mantenimento della famiglia contraendo, in data 30 ottobre 1950, matrimonio con Lorenzo Addolorata. In data 7 marzo 1985 moriva Barba Antonio, gia pensionato quale ex dipendente di ente locale, e la Lorenzo, madre della ricorrente, veniva così a godere del trattamento di riversibilità della pensione del marito. Al decesso della madre, avvenuto in data 30 maggio 1996, la ricorrente sarebbe quindi rimasta senza alcun sostegno e invalida a qualsiasi proficuo lavoro; sicché, in data 14 ottobre 1996, presentava domanda per la riversibilità della pensione degli enti locali di cui era stato titolare il sig. Antonio Barba e quindi la madre, ma, con nota del 22 dicembre 1998, l’INPDAP le comunicava di «non dare ulteriore corso all’istanza pensionistica proposta […] perché allo stato degli atti non risulta essere orfana di Barba Antonio, dante causa della pensione iscrizione n. 6339101/R».

che, dunque, osserva il giudice a quo, la ricorrente, nipote ex fratre del pensionato Barba Antonio e, quindi, in base all’art. 76 cod. civ., sua parente in linea collaterale di terzo grado, nonché figlia nata da precedente matrimonio del coniuge del pensionato medesimo e, pertanto, sua affine in linea retta di primo grado, lamenta il mancato riconoscimento della riversibilità del trattamento pensionistico di Barba Antonio, motivato dall’INPDAP sul presupposto che ella «non risulta essere orfana» del predetto pensionato;

che il rimettente rammenta quindi che, a differenza di quanto previsto dall’art. 17, comma 3, della legge n. 274 del 1991, analogamente a ciò che in precedenza disponeva lo stesso art. 7, primo comma, della legge n. 1646 del 1962, ben diversa risulta la disciplina dettata in materia di riversibilità delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia;

che, difatti, l’art. 2, terzo comma, del decreto legislativo luogotenenziale 18 gennaio 1945, n. 39 (Disciplina del trattamento di riversibilità delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia), prevede che il diritto alla pensione (nei limiti di cui all’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636) spetti, tra gli altri, ai «figli naturali o nati da precedente matrimonio del coniuge dell’assicurato o del pensionato» e che, inoltre, l’art. 38, secondo comma, del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti), anche ai fini del diritto alle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per i superstiti, equipara ai genitori «gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna, nonché le persone alle quali l’assicurato fu affidato come esposto»;

che, si argomenta ancora nell’ordinanza di rimessione, pur avendo l’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), esteso la disciplina del trattamento di riversibilità vigente nell’assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme sostitutive ed esonerative di detto regime, tale disposizione, tuttavia, non troverebbe applicazione al caso di specie, dovendosi escludere che la norma abbia carattere retroattivo, limitandosi «a disciplinare diversamente, per l’avvenire, rapporti già pendenti e situazioni di fatto già in essere, senza incidere sulla disciplina giuridica del fatto generatore»;

che, dunque, l’inapplicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, «ai fini della determinazione della cerchia dei superstiti aventi titolo alla riversibilità», deriverebbe proprio – secondo il rimettente – dalla circostanza che «il fatto generatore dell’invocato trattamento di riversibilità, costituito dalla morte dell’assicurato e del pensionato, si è verificato anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge»;

che, soggiunge il rimettente, il fatto che la domanda di pensione proposta dalla ricorrente sia successiva alla entrata in vigore della legge n. 335 del 1995 non renderebbe comunque applicabile tale legge al caso di specie e, del resto, neppure sarebbe consentita una interpretazione che facesse decorrere il trattamento pensionistico in discussione da epoca successiva alla vigenza della legge medesima;

che, quindi, il giudice a quo ribadisce di dover denunciare la disciplina dettata dagli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991, n. 274 e 7, primo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, in quanto regolamentazione «applicabile ratione temporis», dovendosi appunto aver riguardo, «ai fini dell’individuazione dei soggetti aventi diritto al relativo trattamento di riversibilità», alla «disciplina vigente alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato», tanto più che la stessa legge n. 274 del 1991 prevede, al primo comma dell’art. 18 (rubricato «pensioni indirette o di riversibilità»), che «le condizioni soggettive previste per il diritto al trattamento indiretto o di riversibilità debbono sussistere alla morte del dipendente o del pensionato e debbono permanere»;

che, tanto premesso, il rimettente, nel sostenere che la tutela previdenziale garantita dalla pensione di riversibilità si correla all’evento morte, il quale, per presunzione legislativa, «crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto», osserva, richiamando la sentenza n. 286 del 1987 di questa Corte, che «la relativa disciplina, in un primo momento diversa per i dipendenti pubblici e per i lavoratori del settore privato, ha ormai un fondamento sostanzialmente identico», caratterizzandosi per una funzione di «garanzia della continuità del sostentamento ai superstiti, già viventi a carico del lavoratore deceduto», come tale riconducibile all’art. 38 Cost.;

che, dunque, gli artt. 17, comma 3, della legge n. 274 del 1991 e 7, primo comma, della legge n. 1646 del 1962, «nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilità della pensione, i figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa», violerebbero l’art. 3 Cost., sotto diversi profili;

che, segnatamente, risulterebbe irragionevole ed ingiustificato «il deteriore trattamento riservato al figlio nato da precedente matrimonio del coniuge di dipendente pubblico iscritto alle Casse facenti parte degli Istituti di previdenza – escluso dal novero dei soggetti aventi titolo alla riversibilità – rispetto al figlio nato da precedente matrimonio del coniuge del dipendente privato, per contro incluso fra i soggetti aventi titolo alla pensione ai superstiti, secondo il sistema dell’assicurazione generale obbligatoria»;

che, inoltre, sul presupposto della natura di retribuzione differita propria anche della pensione di riversibilità, ne conseguirebbe che, come è stata ritenuta ingiustificata la disparità di trattamento fra dipendenti pubblici e privati in relazione alla mancata inclusione dei figli nati da precedente matrimonio del coniuge nel novero dei familiari viventi a carico del lavoratore ai fini dell’attribuzione delle quote di aggiunta di famiglia (art. 4, primo comma, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722, dichiarato incostituzionale in parte qua dalla sentenza n. 181 del 1988), «del pari e specularmente» dovrebbe reputarsi ingiustificato il «deteriore trattamento riservato ai figliastri, secondo l’ordinamento delle Casse pensioni facenti parte degli II.PP., con la loro esclusione dal novero dei superstiti aventi titolo alla riversibilità della pensione»;

che, peraltro, in considerazione del fatto che gli obblighi di entrambi i coniugi verso la famiglia, ai sensi dell’art. 143 del codice civile, non possono non riferirsi anche ai figli nati dal precedente matrimonio di un coniuge e che la riversibilità dei trattamenti pensionistici realizza, sul piano previdenziale, una «forma di ultrattività della solidarietà familiare» (sentenza n. 180 del 1999), sarebbe appunto in contrasto con l’art. 3 Cost. «l’esclusione, da tale forma di ultrattività della solidarietà familiare, dei figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato, conviventi a carico del pensionato stesso»;

che sussisterebbe anche la violazione dell’art. 38 Cost., giacché il trattamento di riversibilità è volto a garantire la continuità del sostentamento ai superstiti;

che, inoltre, il giudice a quo denuncia le medesime disposizioni, «nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilità della pensione, i nipoti ex fratre del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa», assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost.;

che, ad avviso del rimettente, il quale si diffonde sul punto in ampie argomentazioni, il vulnus, in definitiva, si verrebbe a concretizzare per il fatto che risulterebbe irragionevole e in contrasto con la tutela dei superstiti l’esclusione dalla «forma di ultrattività della solidarietà familiare», assicurata dal trattamento di riversibilità, «dei familiari legati da vincoli di parentela entro il quarto grado con il dante causa e conviventi a suo carico, a fronte dell’espressa contemplazione, nel novero dei superstiti aventi titolo alla riversibilità, degli affiliati, e cioè di soggetti non legati da vincoli di sangue con il dante causa ma solo da un rapporto di natura assistenziale»;

che, infine, quanto alla rilevanza delle proposte questioni di legittimità costituzionale, il giudice a quo ne assume la pregiudizialità sostenendo che l’eventuale declaratoria di incostituzionalità delle impugnate disposizioni, «in relazione all’uno o all’altro dei profili prospettati», comportando la «equiparazione agli orfani, ai fini della riversibilità della pensione, dei figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato conviventi a carico di quest’ultimo e/o dei nipoti ex fratre conviventi a carico del dante causa», farebbe venir meno l’unico motivo addotto dall’INPDAP a fondamento della determinazione di non dare ulteriore corso all’istanza pensionistica della ricorrente.

Considerato che la Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Puglia ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, gli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991, n. 274 (Acceleramento delle procedure di liquidazione delle pensioni e delle ricongiunzioni, modifiche ed integrazioni degli ordinamenti delle Casse pensioni degli istituti di previdenza, riordinamento strutturale e funzionale della Direzione generale degli istituti stessi) e 7, primo comma, della legge 22 novembre 1962 n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), sia «nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilità della pensione, i figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa»; sia «nella parte in cui non contemplano e, quindi, implicitamente escludono dal novero dei superstiti aventi diritto alla riversibilità della pensione, i nipoti ex fratre del pensionato di cui risulti provata la convivenza a carico dello stesso dante causa»;

che il rimettente impugna entrambe le disposizioni muovendo dalla premessa interpretativa che esse detterebbero la disciplina «applicabile ratione temporis» alla fattispecie sottoposta alla sua cognizione, giacché, «ai fini dell’individuazione dei soggetti aventi diritto al relativo trattamento di riversibilità», occorrerebbe, a suo avviso, aver riguardo proprio «alla disciplina vigente alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato», come sarebbe del resto confermato dal fatto che la stessa legge n. 274 del 1991 stabilisce, all’art. 18, comma 1, che «le condizioni soggettive previste per il diritto al trattamento indiretto o di riversibilità debbono sussistere alla morte del dipendente o del pensionato e debbono permanere»;

che, tuttavia, ciò è in palese contraddizione con la scelta dello stesso giudice a quo di denunciare congiuntamente – senza peraltro spendere alcun argomento in ordine al rapporto diacronico che intercorre tra le due fonti – gli artt. 17, comma 3, della legge n. 274 del 1991 e 7, primo comma, della legge n. 1646 del 1962;

che, invero, coerentemente alla tesi privilegiata nell’ordinanza di rimessione, ne dovrebbe discendere che la disposizione applicabile ratione temporis andrebbe individuata unicamente nell’art. 7, primo comma, della legge n. 1646 del 1962, giacché essa soltanto costituirebbe «disciplina vigente alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato», che, come affermato dallo stesso rimettente, risale al 7 marzo 1985;

che, peraltro, l’evidenziata contraddizione che investe la congiunta denuncia delle due predette disposizioni si riverbera anche sulle ragioni che portano il giudice a quo ad escludere l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), il quale ha esteso la disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme sostitutive ed esonerative di detto regime e, dunque, anche alle pensioni dei dipendenti pubblici;

che, difatti, come si dà conto nell’ordinanza, la disciplina dettata in materia di riversibilità delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria riconosce tale trattamento anche ai figli naturali nati da precedente matrimonio del coniuge dell’assicurato o del pensionato (art. 2, terzo comma, del d.lgs. lgt. 18 gennaio 1945, n. 39; art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818); sicché, per ammissione dello stesso rimettente, le questioni sollevate sarebbero appunto irrilevanti ove si ritenesse applicabile alla fattispecie il citato art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995;

che, tuttavia, il rimettente motiva ampiamente sul fatto che, «ai fini della determinazione della cerchia dei superstiti aventi titolo alla riversibilità», l’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 non troverebbe applicazione nel caso sottoposto alla sua cognizione, proprio perché «il fatto generatore dell’invocato trattamento di riversibilità, costituito dalla morte dell’assicurato e del pensionato, si è verificato anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge», la quale non avrebbe, di per sé, effetti retroattivi;

che un tale assunto, il quale, nella sua complessiva portata, viene a negare altresì ogni rilievo alla data di presentazione della domanda di pensione da parte della ricorrente nel giudizio a quo, sebbene questa sia intervenuta in epoca successiva all’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995, è dal rimettente corroborato ancora con il richiamo dell’art. 18, comma 1, della legge n. 274 del 1991, che, come detto, impone, ai fini del diritto al trattamento indiretto o di riversibilità, che le «condizioni soggettive» debbano «sussistere alla morte del dipendente o del pensionato» e debbano «permanere»;

che – anche a voler prescindere dal fatto che l’art. 18, comma 1, su cui fa leva il rimettente, ben potrebbe prestarsi ad essere letto nel senso che le «condizioni soggettive» alle quali esso si riferisce integrino piuttosto i requisiti indicati dal precedente art. 17, comma 1, e cioè l’essere «assolutamente e permanentemente inabili a qualsiasi proficuo lavoro o in età superiore a sessanta anni, conviventi a carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti» – l’impostazione privilegiata dal rimettente, nell’escludere l’applicabilità della legge n. 335 del 1995 alla controversia che è chiamato a decidere, si pone comunque in aperta contraddizione proprio con la denuncia dell’art. 17, comma 3, della legge n. 274 del 1991, norma anch’essa non retroattiva e, ciò che più conta, entrata in vigore in epoca successiva alla morte del pensionato rispetto al quale la ricorrente nel giudizio principale rivendica il trattamento di riversibilità;

che, in definitiva, proprio alla luce della premessa interpretativa seguita dal rimettente, è priva di coerenza la scelta di denunciare l’art. 17 della legge n. 274 del 1991, congiuntamente ad altra norma precedentemente in vigore, e, al tempo stesso, negare l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, laddove entrambe le predette norme risultano essere successive all’evento che lo stesso giudice a quo indica come «fatto generatore dell’invocato trattamento di riversibilità» e cioè la morte del pensionato;

che, dunque, in ragione delle evidenziate contraddizioni in cui incorre l’ordinanza di rimessione, le questioni sollevate devono essere dichiarate manifestamente inammissibili (si vedano, tra le tante, ordinanze n. 189 del 2005 e n. 189 del 2004).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 17, comma 3, della legge 8 agosto 1991, n. 274 (Acceleramento delle procedure di liquidazione delle pensioni e delle ricongiunzioni, modifiche ed integrazioni degli ordinamenti delle Casse pensioni degli istituti di previdenza, riordinamento strutturale e funzionale della Direzione generale degli istituti stessi) e 7, primo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Puglia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  il 23 gennaio 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l’1 febbraio 2006.